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Dicono di noi

Testimonianze

Niccolò Colombini

Rispetto al Progetto Figli in Penombra, la prima cosa che mi viene in
mente è quando molti anni fa (ero un giovane psichiatra, quindi più di 2
decenni fa…) mi sono dovuto recare a domicilio di uno storico utente
lungo assistito del CSM di Castelfranco Emilia per un intervento urgente,
insieme alla brava, sensibile ed esperta infermiera di riferimento del
paziente.
Il paziente, sposato, la moglie, anche lei in cura al CSM, era uscita,
non era da solo, ma era a casa insieme alla giovane figlia, una bambina
di una età, nel mio ricordo, intorno ai 10 anni. Ricordo che la figlia
chiese di assistere alla visita del padre, e che l’infermiera, molto
materna ed affettiva, si occupò principalmente della bimba, che
conosceva abbastanza bene. Io però cercai lo stesso di parlare diverse
volte con la bambina (più dei miei consueti standard rispetto ad una
bimba comunque minorenne), di chiederle come stesse, se fosse
preoccupata per il padre, come si sentisse, e cosa pensasse sarebbe
successo quando fosse tornata a casa la mamma. Ricordo bene il suo viso
pallido, preoccupato, spaventato, ma dignitoso, che cercava di
trattenere le emozioni nei confronti di 2 adulti venuti a casa sua “per
aiutare il padre”, di cui uno era un illustre sconosciuto, che la stava
scocciando con domande forse troppe ed inopportune, ma comunque senza
risposta. Ricordo bene i suoi occhi spalancati, penetranti, che
chiedevano un aiuto che lei non si sarebbe mai azzardata a chiedere a
voce. Non stava piangendo colle lacrime, ma con lo sguardo, tanto che se
avessi potuto la avrei portata via da lì, ma ovviamente non era
possibile. Alla conclusione della visita lasciammo padre e figlia a casa
da soli, in attesa del rientro della madre (forse anche della nonna
paterna, che abitava in una casa contigua e che per fortuna si occupava
abbastanza adeguatamente, per quanto le fosse possibile, della nipotina).
Francamente non ricordo il motivo della visita urgente, ricordo che
l’intervento comunque si concluse con la visita domiciliare e molto
probabilmente con la somministrazione di una terapia farmacologica.
Tornando al CSM sull’auto dell’AUSL, l’infermiera, vedendomi silenzioso
e pensieroso, ben oltre il mio solito, mi disse “Ti ha colpito XXX (la
figlia del paziente), sei preoccupato, non credevo ti turbassero così i
bambini dei nostri pazienti?”
Si, ero turbato e preoccupato. Mi sentivo impotente, non mi sembrava di
aver fatto bene il mio lavoro, avevo la netta sensazione di non averlo
concluso. Lasciare da sola una bambina in compagnia delle proprie paure
(e del proprio padre che la spaventava così tanto quando stava male), mi
faceva sentire inadeguato, ma comunque allora non avremmo potuto fare di
più di quanto avessimo fatto.
Adesso per fortuna non è più così. Qualche strumento in più lo abbiamo.
E soprattutto esiste la possibilità di non lasciare soli i figli dei
pazienti. Di aiutarli, di sostenerli. Non certo di trasformarli in
care-giver dei propri genitori, ma di potere loro dare qualche strumento
in più per tollerare il malessere del/dei genitori.
Esiste il Progetto Figli in Penombra.
Sinceri Ringraziamenti e Buon Lavoro

Psichiatra

F e L

Diamo sempre per scontato che, essendo genitori, siamo noi a sapere quello
che è meglio per i nostri figli ma alle volte noi stessi abbiamo difficoltà
ad affrontare certe situazioni. Il disagio mentale non ci fa amare meno i
nostri figli ma potrebbe dar loro questa impressione. Quando i nostri figli
non capiscono il nostro comportamento non è perché sono piccoli ma perché
non siamo in grado di spiegargli come stanno le cose.
Farsi aiutare a renderli consapevoli nel modo corretto e dipanare i loro
dubbi è uno dei modi migliori per fargli sapere quanto li amiamo.

marito, moglie e genitori di due bambini